Quasi il 35% delle microplastiche presenti nel mare provengono da fibre di abbigliamento sintetico, ma al contrario, le fibre naturali come la lana si biodegradano facilmente, offrendo una soluzione a minore impatto ambientale.
Nel blu intenso dell’Oceano Pacifico settentrionale, da qualche parte al largo della costa della California, si trova un cumolo di detriti marini di 70.000 kmq, trasportati dalle correnti che si sono accumulati negli anni. La Grande isola di rifiuti del Pacifico, come viene descritta la “massa di plastica”, rappresenta una minaccia significativa per la prosperità della vita marina, inclusi gli stormi di uccelli marini che attraversano l’area, poiché essi ingeriscono centinaia di pezzi di plastica. Questo è il risultato della fotodegradazione causata dall’incapacità della fibra sintetica di biodegradarsi come invece avviene per i rifiuti organici, riducendosi in particelle sempre più piccole, fino ad arrivare a livello molecolare, che può entrare nella catena alimentare.
Le particelle di microplastica, incluse le microfibre dei tessuti e dei vestiti sintetici, sono diffuse negli ecosistemi acquatici e terrestri in tutto il mondo. Infatti, si stima che ogni anno vengano rilasciate nell’oceano tra le 0,6-1,7 milioni di tonnellate di microfibre, dato rivelato da una nuova ricerca dell’Università di Manchester, pubblicata recentemente su Nature Geoscience, che ha dimostrato che il numero di frammenti di microplastica nei corsi d’acqua del mondo sia ampiamente più elevato di quanto si pensasse. Senza un intervento attivo, l'abbondanza di queste particelle di diametro <5 mm è destinata ad aumentare insieme al consumo di plastica e fibre sintetiche nell'abbigliamento, al fine di soddisfare la domanda di una popolazione mondiale in costante aumento e di una crescita dei redditi nazionali.
“Una strategia efficace da adottare da parte dei consumatori per ridurre il loro contributo all’inquinamento da microfibre sarebbe quella di scegliere indumenti realizzati in fibre naturali.”
Le microfibre possono entrare nell’ambiente a causa di fibre che si staccano dall’abbigliamento sintetico durante l’utilizzo e il lavaggio, o a causa della degradazione e frammentazione di pezzi più grandi di rifiuti tessili. Anche se la completa entità degli impatti negativi dell’inquinamento da microplastica sugli habitat e organismi acquatici deve ancora essere pienamente compresa, la ricerca suggerisce che conseguenze fisiche, chimiche e biologiche vengano percepite da tutta la catena alimentare, inclusa la lisciviazione di sostanze chimiche tossiche ed eventuale inedia degli organismi ospiti.
Inoltre, le microplastiche in forma di “fibra” sembrano essere più dannose per l’ambiente rispetto alle particelle di forma “comune”, a causa della tendenza ad incastrarsi nel tratto digestivo che può provocare ostruzioni e una maggior probabilità di compromissione della crescita, problemi riproduttivi o anche inedia. Gli impatti chimici potrebbero accrescere poiché la maggiore area della superficie delle fibre permette, potenzialmente, un maggiore assorbimento di composti dannosi e una ritenzione negli organi interni prolungata che offre più tempo al verificarsi di una perdita di additivi plastici. La piena entità dell’impatto sulla salute umana è ancora da scoprire, ma è ampiamente riconosciuto che le microplastiche possano entrare nel corpo umano tramite la catena alimentare e l’acqua potabile.
“Le fibre naturali come la lana si biodegradano facilmente e di conseguenza non si accumulano nell’ambiente.”
Un nuovo studio sull’inquinamento da microplastica da materie tessili raccomanda di aumentare l’utilizzo delle fibre naturali e di materiali non sintetici, come la lana, nei mercati tessili mondiali, perché la lana si biodegrada nell’ambiente acquatico e terrestre e quindi non causa inquinamento da microplastica. Lo studio, pubblicato a febbraio dalla Consumption Research Norway (SIFO), è stato condotto dal Professore Associato Beverley Henry della Queensland University of Technology and researchers della SIFO, con il supporto di Australian Wool Innovation (AWI, proprietaria di The Woolmark Company) e di Cotton Research and Development Corporation.
"Una strategia efficace per i consumatori per ridurre il loro contributo all'inquinamento da microfibre consisterebbe nello scegliere capi realizzati con fibre naturali che sono biodegradabili e non contribuiscono all'accumulo di microplastiche nell'ambiente", ha affermato il Dr Henry. “Le caratteristiche positive della lana in termini di durata, riciclabilità e cura a basso impatto (meno frequenti lavaggi, a temperature più basse con meno detersivo/ammorbidente) sono coerenti con le strategie per minimizzare la dispersione di microfibre nell'ambiente.”
“Le caratteristiche positive della lana in termini di durata, riciclabilità e cura a basso impatto ambientale sono coerenti con le strategie per minimizzare la dispersione di microfibre nell’ambiente.”
Lo studio è parte di un lavoro più grande di AWI verso una migliore amministrazione della fase di utilizzo del ciclo di vita dell’abbigliamento (Life Cycle Assessment- LCA), poiché non ci sono stati studi sul LCA che abbiano ancora tentato di includere l’impatto dell’inquinamento da microplastica. Angus Ireland, il direttore del Programma Fibre Advocacy and Eco Credentials, afferma che lo studio aiuti a dimostrare le caratteristiche ecologiche delle fibre naturali in un mondo dove vi è una preoccupazione crescente riguardo agli effetti dei tessuti sintetici sull’inquinamento. “Le fibre naturali come la lana si decompongono facilmente e quindi non si accumulano nell’ambiente. Questa importante differenza tra le fibre naturali e sintetiche deve essere riconosciuta all’interno del Life Cycle Assessment perché sia credibile e difendibile scientificamente.”
L’isola di rifiuti creata dall’uomo è una presenza imponente, comprovata dal documentario diretto da Craig Leeson “Plastic Oceans”, dove squadre di scienziati e biologi marini esplorano gli effetti devastanti degli agenti inquinanti tossici e indicano le loro ramificazioni a lungo termine non solo sull’ambiente, ma anche sulla vita umana. Senza avere una soluzione a questo crescente problema, e senza un significativo supporto del governo (come l’abrogazione delle borse di plastica monouso, legge che è stata istituita in alcuni paesi e stati in tutto il mondo, come la California, e ha visto una riduzione di 13 bilioni di buste di plastica all’anno), la responsabilità di salvare gli oceani ricade sul settore privato e sui singoli cittadini. Attraverso una scelta responsabile di quello che si indossa è possibile contribuire sostanzialmente alla salute a lungo termine del pianeta.